Cenni storici

Epoca romana

Numerose sono le testimonianze storiche che dimostrano la presenza dell'olivo sulle nostre terre da diversi secoli;  tuttavia è difficile risalire a una data esatta.

Sappiamo che i Romani avevano l’abitudine di piantare olivo nelle loro colonie; di conseguenza è plausibile pensare che furono loro i primi ad importarlo, ma non abbiamo prove certe.

La prima testimonianza

Dobbiamo aspettare il XIII secolo, quando una legge emanata dalla Repubblica Parmense faceva obbligo di coltivare questo albero. Questo il testo integrale tradotto:

Ci si attenga ad eseguire la disposizione che il Podestà redasse: piantare e coltivare, bonificare e mantenere 20 piedi di olivi in un primo anno, a favore di qualsiasi famiglia delle terre sotto riportate e in seguito, annualmente, 10 piedi.

Le località sono le seguenti: Bazzano, Guardasone, Traversetolo, Castilione, Rivalta, Mulazzano, Cazzola di Rivalta, Lesignano, Torrechiara, Arola, Casatico, Langhirano, Mattaleto, Castrignano, Riano, Strognano, Paderna, Cirliano, Felino, Tiorre, Munte Pallero, s. Ilario Baganza, Ceretolo), San Vitale Baganza, Limido, Maiatico, Neviano, Felegara, Fornovo, Casello di Fornovo, Fosio, e tutte le altre terre oltre il Taro e il Ceno fino alla pianura, per tutto il territorio parmense.

E i Podestà e i funzionari dei predetti luoghi si attengano che ciò venga eseguito e a farlo eseguire a ciascun abitante delle predette località e terre, sotto pena e condanna per qualsiasi Podestà, per qualsiasi dei 20 funzionari e per qualsiasi famiglia del territorio parmense in qualsiasi anno.

Tale legge, a una lettura moderna, potrebbe sembrare alquanto bizzarra: tuttavia occorre immergersi nella situazione politico-culturale dell’epoca. L’Italia era allora suddivisa in tanti Stati, spesso in conflitto con loro: importare l’olio era difficile e costoso (non dimentichiamoci i dazi che si pagavano alle frontiere). Perciò ecco che una normativa del genere poteva essere giustificata, se si voleva essere autonomi da questo punto di vista.

L’olio , del resto, allora era molto utile, non tanto a scopo alimentare, ma quanto come combustibile per l’illuminazione, per la concia delle pelli, per filare le lane e a scopo religioso.

È presumibile che tutto il territorio interessato da tale legge (la prima fascia collinare, per intenderci) sia stato investito a oliveto. Immaginate dunque quale paesaggio si poteva osservare, passeggiando allora per quelle colline!

Testimonianze toponomastiche

Per produrre l’olio, occorreva (ed occorre) che le olive fossero frante. Questa operazione richiede dei locali appositi: i frantoi. Anche a in Provincia di Parma ne esistevano.

Torrechiara, antico borgo medioevale con uno splendido castello sito sulle prime colline parmensi, si pensa debba al suo nome a “torciara”, ossia luogo ricco di torchi per la frangitura di questo frutto.

Ramiola, il cui nome si pensa derivi dal latino “ramus oleae”, ramo di olivo.

I vicini piacentini

Anche le colline piacentine erano allora ricche di oliveti: consultando vecchi archivi risalenti al XIII e XIV secolo si sono rinvenuti documenti notarili di compravedita di terreni a oliveto o con piante di olivo. Senza contare “gli ulivi (che) vi prosperano per così dire spontanei” (Bianchedi, 1880) nei pressi di Lugagnano, che producevano olive destinate alla produzione dell’olio fino all’inizio del secolo scorso.

La decadenza

Nei secoli a venire l’olivicoltura emiliana ha subito un progressivo ed inesorabile abbandono. Diverse sono ancora le testimonianze che citano la sua presenza anche negli ultimi tre secoli, ma sempre come coltura marginale. La vite ed il gelso presero il sopravvento perché colture allora più redditizie.

Gli alberi di olivo, dunque, lentamente sono stati sostituiti con queste o altre colture, e dove non è intervenuto l’uomo ci ha pensato il clima (anni particolarmente freddi hanno falcidiato queste piante), oppure l’avanzare del bosco che le ha pian piano soffocate a ridurne inesorabilmente il numero.